Cos’è Thapsigargin?

La pianta thapsia è l’unica fonte naturale conosciuta di thapsigargin, una sostanza chimica che alcuni credono faccia luce sul meccanismo d’azione di uno dei più potenti trattamenti contro la malaria che sia stato scoperto. Sebbene sia noto per incoraggiare lo sviluppo di tumori nei mammiferi, potrebbe rivelarsi un trattamento utile per l’opacizzazione capsulare posteriore o le cataratte ricorrenti. L’uso più comune della sostanza chimica è come agente sperimentale per la ricerca sugli effetti dell’aumento della concentrazione di ioni calcio nel fluido cellulare dei mammiferi.

Thapsigargin agisce su queste cellule interferendo con il funzionamento delle loro pompe ioniche calcio, riducendo la quantità dello ione nei reticoli endoplasmatici e sarcoplasmatici. Questo fa sì che le cellule attivino i canali ionici del calcio della membrana plasmatica, aumentando la concentrazione di ioni calcio nel fluido cellulare. Questa azione promuove lo sviluppo di tumori nelle cellule colpite, il che potrebbe spiegare la tossicità delle sostanze chimiche correlate.

Il farmaco per la malaria artemisinina, noto anche come qinghaosu, è un membro della stessa classe chimica del thapsigargin. Queste sostanze chimiche sono entrambi lattoni sesquiterpenici, un insieme incredibilmente amaro di composti farmacologicamente attivi che si trovano prevalentemente nelle piante del genere Artemisia. La somiglianza strutturale di thapsigargin con l’artemisinina ha portato alcuni ricercatori a proporre che l’efficacia del farmaco antimalarico potrebbe essere dovuta alla sua promozione di tumori nel parassita della malaria Plasmodium falciparum.

Se l’artemisinina condivide lo stesso meccanismo, esercita i suoi effetti tossici sul parassita mediante l’inibizione di un enzima chiamato sarco/reticolo endoplasmatico Ca2+ ATP-asi (SERCA). Aumentando i livelli di calcio citosolico nel parassita della malaria che si divide rapidamente, l’artemisinina potrebbe promuovere lo sviluppo di tumori fatali all’interno dell’organismo. All’inizio del 2011, tuttavia, non c’erano ricerche che confermassero che l’artemisinina condivide qualcosa di più di una superficiale somiglianza strutturale con thapsigargin.

Nonostante la sua nota attività come agente di promozione del tumore, uno studio suggerisce che l’uso di lenti a contatto trattate con una forma a rilascio prolungato di thapsigargin potrebbe inibire efficacemente lo sviluppo delle cellule responsabili della recidiva postoperatoria della cataratta. Ben il 50 percento dei pazienti a cui viene rimossa chirurgicamente la cataratta sviluppa un’ossificazione capsulare posteriore entro mesi dal trattamento, rendendo necessario un ulteriore intervento chirurgico per ripristinare la vista. Sebbene gli estesi trattamenti laser ampiamente utilizzati per trattare questa condizione potrebbero non essere pratici nel mondo in via di sviluppo, le lenti integrate con thapsigargin potrebbero aiutare a prevenire la ricaduta della cataratta in pazienti che altrimenti non sarebbero in grado di permettersi interventi chirurgici di follow-up.