Cosa significa “Ex Aequo Et Bono”?

Uno dei tanti termini latini dell’arte usati in diritto, ex aequo et bono si traduce come “ciò che è giusto e buono”. Nell’uso legale, si riferisce a un tipo di caso che viene deciso sulla base della giustizia nelle circostanze date, piuttosto secondo la legge codificata o il precedente. Ex aequo et bono è talvolta utilizzato in materia di arbitrato o nel diritto internazionale in cui i codici legali possono essere mal definiti o contraddittori.

Ex aequo et bono si basa sull’idea che un sistema giuridico debba essere completo, anche se le leggi non sempre specificano ogni possibile circostanza. Poiché i giudici sono nominati per prendere decisioni basate sulla giustizia, possono essere autorizzati a pronunciarsi in situazioni in cui le leggi sono vaghe, contraddittorie o addirittura inesistenti. È importante notare che non tutti gli ordinamenti giuridici consentono questa pratica e, anche in quelli che prevedono ex aequo et bono, il suo utilizzo è estremamente raro.

Il diritto internazionale è un’area oscura della pratica giudiziaria. Se il paese A ha leggi sul lavoro che vietano ai lavoratori di lavorare più di 12 ore al giorno e il paese B consente fino a 16 ore al giorno, le aziende internazionali devono conciliare questi standard diversi per poter fare affari in entrambi i paesi. Questa è una circostanza in cui ex aequo et bono potrebbe essere applicato a una causa, poiché il giudice non può necessariamente decidere che la legge di un paese debba avere la precedenza. Invece, il giudizio potrebbe basarsi su ciò che è giusto e buono date le circostanze specifiche. Nelle linee guida stabilite dalla Commissione delle Nazioni Unite sul diritto commerciale internazionale e dalla Corte internazionale di giustizia, ex aequo et bono può essere utilizzato solo quando tutte le parti coinvolte sono d’accordo.

Ex aequo et bono può essere usato informalmente in alcune forme di diritto. Nell’arbitrato di divorzio, ad esempio, le coppie possono concordare accordi, divisione dell’affidamento e cessione del debito sulla base di un accordo equo, piuttosto che su una legge codificata. In molte regioni, anche se esistono leggi specifiche sulla divisione, alle coppie in divorzio viene offerta la possibilità di creare i propri accordi o di farlo con l’aiuto di un arbitro o di un moderatore. Se un giudice sospetta la coercizione o ritiene che l’accordo sia palesemente iniquo nei confronti di una delle parti, di solito ha la possibilità di rifiutarlo e di attenersi invece alle leggi specifiche.

La maggiore preoccupazione per l’applicazione dell’ex aequo et bono è la minaccia all’obiettività giudiziaria. Il concetto risale davvero ai giorni in cui i monarchi al potere fungevano da giudici, portando a infiniti esempi di soggettività e corruzione. Alcuni critici suggeriscono che l’uso del concetto è direttamente in conflitto con il ruolo dichiarato del giudice, che è quello di imporre e interpretare la legge scritta. Alla luce di queste preoccupazioni, questo metodo di giudizio è usato raramente e addirittura bandito in alcune giurisdizioni.