Il concetto del ruolo della musica come discorso originariamente derivava dalla consapevolezza che la musica stimola gli organi nell’orecchio e, a questo proposito, si adatta alla definizione di discorso o linguaggio perché trasmette informazioni a un ascoltatore attento. La capacità della musica di migliorare stati emotivi come la serenità, il rimpianto o l’esuberanza ha portato alcuni ricercatori a intitolare il discorso musicale come la “musica delle emozioni”. La musica come discorso è ritenuta dalla maggior parte degli esperti altamente soggettiva e la sua interpretazione può essere alterata dalla cultura, dalla qualità e dalla composizione emotiva personale. Ad esempio, se una classe di studenti ascolta la Settima Sinfonia di Beethoven, uno può trovarla malinconia, uno può commuoversi fino alle lacrime di gioia, e un altro ancora può essere benevolo. In effetti, gli studi dimostrano che alcune persone hanno una significativa mancanza di capacità di ascolto musicale, che, a detta di tutti, li rende sordi alla musica come discorso, come una persona cieca lo sarebbe alla parola scritta.
Un’altra strada da esplorare nel ruolo della musica come discorso è confrontarla con il linguaggio scritto fisico, in particolare la sintassi. La relazione più evidente della musica con il linguaggio deriva dal collegamento sistemico di suoni significativi, proprio come i fonemi nelle culture di tutto il mondo. I toni specifici sono inerenti a quasi tutta la cultura consolidata, suggerendo che la tonalità è il collegamento primitivo alla musica come fenomeno universale che utilizza molte delle stesse interpretazioni artistiche e suoni umani primordiali. La tradizionale teoria della musica viene insegnata anche con una retorica che indubbiamente risuona con la struttura del linguaggio. Usa termini come segmento, frase e frase quando descrive la scrittura e impara a suonare la musica. La notazione musicale è scritta e, a sua volta, letta più o meno allo stesso modo in cui un saggio sarebbe trasmesso anche su carta.
Alcuni musicologi, come Deryck Cooke in Inghilterra, propongono che oltre ad essere un mezzo attraverso il quale sperimentare ed esprimere la varianza emotiva, la musica tonale sia un sistema di linguaggio e comunicazione strettamente codificato. Sottolinea che l’esperienza della musica non è così soggettiva come crede la maggior parte dei ricercatori. Cooke e altri ricercatori, che sostengono la musica come un discorso che può stare da solo come un sistema completo di comunicazione, sostengono che ogni grado su una data scala significa una certa sfumatura di un’emozione e provoca una reazione precisa da parte di persone di culture contrastanti. Ad esempio, in questo ruolo proposto della musica, i ricercatori affermano che un aumento del tono su scala minore può indurre affermazioni personali eccitate e aggressive. Un altro concetto che è all’avanguardia della musicologia è la definizione di discorso musicale come linguaggio per il quale non esistono parole conosciute; un tipo di poesia collettiva nata dalla capacità dell’uomo di emozionare profondamente.
La supervisione e il tutoraggio dei musicisti studenti ha stretti legami con il ruolo della musica come discorso. Alcuni professori sostengono che la funzione del linguaggio musicale come forma d’arte è di raccontare o ricordare un’esperienza del passato o forse ispirare sforzi creativi in futuro. In questo senso, il discorso musicale può essere pensato non solo come musica o linguaggio, ma come un’entità creata a sé stante, in grado di trasmettere un significato implicito unico per l’ascoltatore e l’esecutore.