Le Upanishad sono antichi testi sacri che costituiscono la parte finale del pensiero religioso indù. La parola sanscrita “Upanishad” significa letteralmente sedersi ai piedi di un maestro per ricevere istruzioni. Cronologicamente, seguono i Veda e sono spesso indicati come Vedanta (“veda”, conoscenza e “anta”, fine o conclusione) per questo motivo. Delle circa 108 Upanishad esistenti, dodici sono considerate gli insegnamenti fondamentali. Prendono la forma di dialoghi, ciascuno dei quali discute su un tema metafisico, morale o teleologico. In breve, il pensiero nelle Upanishad riguarda il Brahman (anima universale) e l’Atman (anima individuale) e la relazione tra i due. Il Brahman è il piano onnicomprensivo dell’essere che agisce come principio informatore di tutte le altre esistenze.
Come per qualsiasi testo religioso, le esegesi delle Upanishad sono molte e sono informate da diverse credenze metafisiche e religiose; i principali commentari, tuttavia, si trovano negli scritti di Shankara, Madhvacharva e Vishishtadvaita. Le differenze più salienti tra queste varie scuole devono essere individuate nel modo in cui considerano lo stato metafisico del Brahman. Shankara e Madvacharva differiscono ovviamente in questo senso, poiché il primo postula che il Brahman sia illimitato e al di là delle nozioni temporali dell’essere, mentre il secondo posiziona il Brahman nel pantheon insieme a divinità come Vishnu e Krishna.
Le Upanishad registrano i pensieri e le riflessioni filosofiche di una serie di maestri e saggi indù che lavorarono intorno al 1000 aC, ma che furono particolarmente importanti nel 600 aC. È stato ipotizzato che le Upanishad del periodo precedente facciano parte dei Brahmana (commenti) dei loro rispettivi Veda, tuttavia devono essere distinte da loro perché il pregiudizio della loro indagine è più filosofico e mistico e viceversa prestano meno attenzione al divinità dei Veda e dei loro riti sacrificali associati.
L’influenza delle Upanishad non si limita all’induismo. Sono noti per essere stati studiati da giainisti e buddisti. Allo stesso modo, durante il Medioevo, studiosi musulmani come Dara Shikoh, il figlio maggiore di Shajahan, furono influenzati dalla filosofia indù e dalle Upanishad in particolare. Fece tradurre un certo numero di Upanishad nel suo nativo persiano. Tuttavia, fu con l’istituzione del Raj britannico in India e le apprezzate traduzioni fatte dal filologo tedesco Max Muller che le Upanishad incontrarono un vasto pubblico europeo.