Che cos’è uno spettrofotometro a fiamma?

Uno spettrofotometro a fiamma, noto anche come spettrofotometro a emissione atomica, è un dispositivo per misurare la luce mentre interagisce o viene emessa dagli atomi per determinare la composizione chimica delle sostanze. Le onde luminose vengono misurate quando vengono assorbite da un atomo mentre gli aggiunge energia e spinge gli elettroni verso un guscio di energia più alta, oppure viene misurata la luce emessa quando questi elettroni eccitati ritornano a un guscio di energia più bassa. La spettroscopia può essere utilizzata per determinare la quantità di elementi presenti essenzialmente in qualsiasi sostanza, ma funziona meglio per metalli come sodio, potassio e rame. Questo perché i metalli sono facilmente eccitati a stati energetici più elevati con una bassa temperatura nell’analisi spettrofotometrica a fiamma.

Uno spettrometro ad assorbimento atomico funziona solo con la luce visibile. Uno spettrofotometro a fiamma può bombardare un atomo con luce ultravioletta, tuttavia, se la spettroscopia a fluorescenza viene utilizzata per esaminare anche le composizioni atomiche. Queste lunghezze d’onda della luce possono essere direttamente correlate ai cambiamenti negli stati energetici degli elettroni del guscio esterno negli atomi. Altri tipi di spettroscopia, come lo studio delle emissioni di raggi X, vengono utilizzati per esaminare i cambiamenti negli stati energetici degli elettroni nei gusci energetici interni delle strutture atomiche. I composti molecolari hanno anche stati rotazionali unici tra gli atomi coinvolti, che portano a emissioni spettroscopiche nelle bande delle microonde per il loro studio.

L’intensità della luce in uno spettrofotometro a fiamma è direttamente correlata alla quantità di un elemento presente in un campione. I colori di emissione, o linee spettrali, sono abbastanza distinti da poter distinguere facilmente gli elementi l’uno dall’altro. Il processo utilizzato da uno spettrofotometro a fiamma per i campioni elementari è considerato così preciso da poter misurare quantità di un elemento fino a parti per milione in un campione.

Le apparecchiature progettate per eseguire l’analisi spettrofotometrica di fiamma sono considerate costruite su strumenti abbastanza semplici. La temperatura richiesta per fornire l’eccitazione atomica, tuttavia, è elevata e viene solitamente ottenuta bruciando acetilene o propano a una temperatura compresa tra 3,632° e 5,432° Fahrenheit (tra 2,000° e 3,000° Celsius). La luce emessa dal campione viene fatta passare attraverso filtri ottici per l’analisi. Viene anche incanalato in modo che impatta con un rivelatore fotomoltiplicatore che lo converte in un segnale elettrico per registrare l’intensità della luce per misurazioni di concentrazione elementare.

Gli spettrofotometri sono macchine da laboratorio molto diffuse utilizzate nella ricerca clinica o per determinare la presenza di metalli in campioni ambientali. Il loro principale svantaggio è che richiedono una calibrazione precisa rispetto a campioni stabiliti per produrre letture affidabili, specialmente con miscele di campioni complicate. La storia del processo di spettroscopia può essere fatta risalire fino allo studio del cristallino di Aristofane nel 423 a.C. Solo nel 1800 la legge fondamentale dell’assorbimento atomico è stata quantificata e ha permesso di costruire macchine basate sull’effetto spettrofotometro a fiamma, che afferma che la materia assorbe la luce alla stessa lunghezza d’onda con cui emette luce.