I canoni della retorica si riferiscono alle cinque categorie che compongono la retorica come forma d’arte. Sono scritti in antichi testi latini come Ad Herennium, di autore ignoto, De Inventione, dell’oratore e statista romano Cicerone, e Institutio Oratoria, di Quintiliano. Questi canoni sono spesso usati come guida per creare discorsi, come modello per l’educazione retorica e come modello per discutere e criticare varie forme di discorso. Invenzione e arrangiamento sono i due canoni che riguardano la composizione del discorso, mentre lo stile, la memoria e la pronuncia influiscono più direttamente sulla recitazione.
Sebbene i principi e le pratiche dei cinque canoni della retorica fossero conosciuti dagli antichi greci, fu solo intorno al 50 a.C. che alcuni dei canoni furono scritti da Marco Tullio Cicerone nel De Invetione. Più tardi, Marco Fabio Quintiliano, detto Quintiliano, scrisse l’Insitutio Oratoria, che, per la prima volta nella storia documentata, metteva insieme i cinque canoni della retorica. Questo trattato di Quintiliano avrebbe continuato a ispirare oratori ed educatori rinascimentali e a rivoluzionare il modo in cui la retorica veniva praticata e insegnata.
I cinque canoni della retorica iniziano con il processo di invenzione, dal latino inventio, che significa trovare. L’invenzione è il processo che un oratore attraversa quando tenta di sviluppare o perfezionare un argomento. Si riferisce alla ricerca sistematica e alla scoperta di argomenti utilizzando una vasta gamma di metodi.
Dopo il processo di scoperta, gli argomenti devono essere organizzati. Questo è il secondo canone della retorica. L’arrangiamento, dal latino disposizione, è il processo di ordinamento dei pensieri e degli argomenti scoperti durante la fase dell’invenzione. L’arrangiamento di un’orazione classica di solito iniziava con un’introduzione e poi passava alla dichiarazione di digiuni, divisione, prova, confutazione e, infine, conclusione. Secondo Cicerone, l’arrangiamento inizia con un appello all’etica, per stabilire l’autorità, è seguito da argomenti logici nelle quattro sezioni successive e si conclude con un appello alle emozioni del pubblico.
Seguendo i primi due canoni è lo stile è l’elocuzione, che determina non ciò che verrà detto, ma come lo dirà l’oratore. In epoca classica, lo stile non era pensato come semplicemente ornamentale. Per gli antichi greci e romani e gli studiosi del Rinascimento, lo stile rafforzava le proprie idee, dava loro espressione verbale e assicurava che l’intento dell’oratore fosse ben accolto.
Il quarto canone della retorica è la memoria, o memoria, che si riferisce a più di semplici aiuti e dispositivi mnemonici. L’autore dell’Ad Herennium afferma che la memoria è legata al primo canone, l’invenzione. Ciò implica che l’oratore deve memorizzare le informazioni e gli argomenti scoperti durante il processo di invenzione per un uso successivo. La memoria si occupa delle necessità improvvisative del parlare in pubblico e dell’esigenza psicologica dell’oratore, permettendo al retore di pensare in modo rapido e chiaro.
La consegna, dal latino action, è molto simile allo stile, in quanto si occupa di come viene detto un argomento e non tanto di ciò che viene detto. Una pronuncia di successo di un discorso è il risultato di un intenso allenamento vocale e incorpora il linguaggio del corpo e i gesti. La consegna fa un appello intensamente potente al pathos, o alle emozioni del pubblico, e come tale, è cruciale nel processo retorico.